Viaggio nelle Eolie

(segue) La pomice e l’ossidiana, sin dall’età del bronzo, hanno attratto i naviganti da ogni più lontana sponda del Mediterraneo. Dimora degli dèi del vento e dei vulcani, furono visitate da Ulisse, e amate da Virgilio, da Byron e De Maupassant. I suoni della natura – il sibilo dei gas nell’imponente cratere di Vulcano, il gorgoglìo della risacca nella grotta del Bue Marino a Filicudi – si confondono con i suoni degli uomini: la struggente fisarmonica che avvolge una chiesa antica, nel lembo più remoto del cono di Alicudi, il richiamo di un solitario pescatore di Stromboli, la melodia di una chitarra, a Lipari. Suggestivi paesaggi sottomarini - come le emissioni gassose di lisca Bianca, la villa romana sommersa di Panarea, i resti degli antichi pontili per l’imbarco della pomice, relitti di tutte le epoche -  formano un habitat  straordinario per la fauna marina. In queste isole, il tempo sembra aver arrestato la sua marcia: accanto alla laguna di Salina, dove una volta si fabbricava il sale che permetteva di conservare il pesce e i capperi, una antica casa eoliana è stata trasformata in museo: la macina per le olive e quella – diversa - per il grano, la cucina e gli utensili per la casa e per la pesca, il letto ancora rigonfio, il crocifisso e la culla sospesa ad un tronco di castagno. Gli isolani sono eredi i intraprendenti mercanti di mare, di pirati, di pescatori. Ad Alicudi, un’anziana ci incanta con il racconto di magìe e visioni tramandate attraverso le generazioni: donne che volano a Palermo e tagliatori di trombe marine. Un contadino, che da giovane era emigrato in Australia, è ritornato a piantare la vite nel suo fazzoletto di terra arroccato sul vulcano In un promontorio di Filicudi, ritroviamo le tracce di un villaggio preistorico – il perimetro di antichissime capanne di pietra – poco lontano da una vecchia cava per l’estrazione della lava solida, dove decine di gigantesche macine giacciono abbandonate, per qualche misterioso motivo: proprio davanti alla secca pericolosa dove hanno fatto naufragio, una sopra l’altra, 11 navi romane. Di queste una sola, la più grande, trasportava ben undicimila anfore. A Capo Graziano, il sito più promettente per l’archeologia sottomarina italiana, sono già affiorati molti ricordi del mare antico: la straordinaria collezione di anfore e maschere micenee del Museo di Lipari è la più importante del mondo. Si schiudono le porte della notte, ed i bagliori dello Stromboli, il più antico faro del Tirreno, e l’unico vulcano in Europa ad essere attivo in permanenza, si confondono con i fuochi dell’uomo ed i suoi riti - l’incredibile spettacolo pirotecnico della notte di S.Bartolo - creati a
imitazione della natura. La fucina di Vulcano – Navigando da sud, il primo incontro è con l’isola di Vulcano. Mentre ci avviciniamo, un’inconfondibile odore di zolfo impregna l’aria. L’isola è formata da tanti crateri che hanno età diverse. Il vulcano più grande ha 70.000 anni, mentre la spettacolare eruzione che diede vita a Vulcanello - 2000 anni fa - fu vista dagli antichi: Strabone descrive “fiamme che si sprigionano dalla superficie dell’acqua” e “pesci morti che galleggiano ovunque”.  Ai piedi del grande cratere, gorgoglia un laghetto di fanghi sulfurei. Queste pozze erano famose sin dai tempi di Virgilio!  Iniziamo una piccola scalata, per raggiungere la sommità del vulcano. Nei tempi più antichi, questi luoghi furono frequentati da schiere di forzati e di schiavi condannati al duro lavoro dell’estrazione dello zolfo e dell’allume. In queste pendici aride, dominate dai fumi e dai colori dello zolfo, la realtà non doveva sembrare molto diversa dalla fantasia degli scenari danteschi. Inquietanti sculture di lava nera popolano la Valle dei Mostri. Da queste parti dovrebbe trovarsi anche la fornace dove il dio Vulcano fabbricò l’armatura per Enea! Le fumarole sono esalazioni calde di vapore acqueo, zolfo e anidride carbonica: ci ricordano che il vulcano è sempre attivo: negli ultimi 2000 anni, c’è stata in media un’eruzione ogni secolo. L’ultima, la più violenta, è stata proprio cento anni fa… ma oggi, il dio del Vulcano sembra volersi limitare a manifestare la sua presenza con le inoffensive fumarole! La bellezza selvaggia di questi luoghi incantò due illustri viaggiatori dell’ottocento: lo scrittore Guy de Maupassant, che definì Vulcano “un fantastico fiore di zolfo solcato da rivoli di magìa”, e Alexandre Dumas: “nemmeno dipingendola (!) sarebbe possibile dare un’idea di quest’isola convulsa e ardente... davanti a quest’apparizione non sapevamo distinguere il nostro viaggio da un sogno.  Facciamo rotta verso la più grande delle Eolie. A Lipari ci accoglie un mondo completamente diverso: il bianco abbagliante delle montagne di pomice si sostituisce al nero della lava e al giallo dello  zolfo.  L’impalpabile polvere chiara colata dal vulcano di Lipari conferisce all’acqua riflessi indimenticabili. Scrive De Maupassant: “Da lontano, la  montagna  bianca si potrebbe  scambiare per una montagna di neve, se il cielo fosse più freddo”: e, in effetti, le colate di pomice sembrano gigantesche montagne di panna. La pomice viene usata nell’edilizia e nella fabbricazione dei detersivi, è un isolante nel rivestimento dei reattori atomici e un terreno di coltura per le rose; el Medioevo veniva usata per spianare le pergamene. La superficie del mare è punteggiata dalle pietre di pomice galleggianti: chissà dove saranno trasportate dalle  correnti... Nei fondali marini ci imbattiamo in un’altra meraviglia del vulcano di Lipari: lucenti pietre nere punteggiano le distese di sabbia di pomice. E’ l’ossidiana, lucida e tagliente come il vetro. Oggi non ha nessun valore, ma prima dell’età del bronzo il commercio delle lamine e delle punte di ossidiana fu la ricchezza delle isole Eolie, che ebbero scambi con tutti gli antichi popoli del Mediterraneo. Il bianco ed il nero: pomice e ossidiana, in apparenza così diverse, provengono dallo stesso materiale vulcanico. Davanti ai ruderi della cava di pomice, maestoso presepio  abbandonato, il mare consuma lentamente i vecchi pontili adibiti all’imbarco della pomice su navi di tutte le bandiere. La nostra ultima immersione a Lipari, con i raggi del sole che si rincorrono fra gli interstizi dei pali sommersi, è insolita e affascinante. Riprendiamo la navigazione verso nord: Salina è il frutto dell’eruzione di due vulcani, e proprio per la sua forma, inconfondibile dal mare, gli antichi la chiamavano Dydyme: la “gemella”. L’isola più verde e fertile è in buona parte ricoperta dai vigneti da cui si ottiene il dolce vino Malvasìa: il vino dei vulcani, lo “sciroppo di zolfo, dolce e dorato”, come lo definì Maupassant, prodotto secondo una tecnica che è rimasta immutata nel tempo. L’isola prende il nome da una vecchia salina, che oggi è ridotta ad un laghetto salmastra, neanche visibile dal mare. Il sale estratto in loco veniva utilizzato per conservare il pesce e i capperi. L’escursione sul monte Fossa delle Felci – la massima altitudine dell’arcipelago, con i suoi 962 metri - ci permette di ammirare una lussureggiante distesa di felci, e, sullo sfondo, un panorama incomparabile delle isole. La parete della baia di Pollara, con gli antichi ricoveri delle barche scavati nella roccia, è l’orlo di un antico cratere sprofondato nel mare. Il vento si alza improvvisamente, risvegliando un’altra eco del passato: ci ricorda che Eolo, signore dei venti, ha il suo regno fra queste isole. Ma presto ritorna la calma, e davanti alla nostra prua si materializza Stromboli, con il suo cuore di fuoco, che sin dalla notte dei tempi si offre come riferimento ai naviganti. L’isola è rimasta la sola, nel Mediterraneo, a tuonare ed emettere bagliori intermittenti: è il più luminoso faro naturale del Tirreno. La nostra prima meta è Strombolicchio, vero castello di lava pietrificata. La grande torre di lava si inabissa fino a 1500 metri. Un piccolo esercito di barracuda mediterranei pattuglia senza sosta le sue acque. Questo straordinario scoglio è la parte centrale di un vecchio vulcano, del quale sono crollate le pareti. Ci troviamo anche in un ottimo punto per  osservare l’eruzione dell’unico vulcano in Europa che  è  attivo in permanenza. Ogni notte, si riaccende il suo fascino grazie allo spettacolo della Sciara del Fuoco. Doppiato il capo di Punta Lazzaro, ci appare l’abitato di Ginostra, con le sue case bianche e la chiesetta rosa. 27 abitanti e 7 asini vivono senza luce e acqua, raccolti intorno al porticciolo, che ha posto solo per tre barche: il porto più piccolo del mondo. Nelle prime luci del giorno, un pescatore lancia la sua lenza dalla spiaggia. Nel suo gesto antico sembrano rivivere le storie millenarie dei pescatori eoliani, la testimonianza di un mestiere perduto: il mare ormai appartiene alle barche dei cianciòli e alle tonnare volanti. Nelle acque di Lipari, si tenta l’allevamento del pesce: una spettacolare struttura sommersa ospita decine di migliaia di orate e di spigole. Navigando in un mare liscio come l’olio, ci dirigiamo verso il porto di Filicudi: un pugno di cubi bianchi che si affacciano sul mare. Pecorini è il miglior esempio dell’architettura spontanea di queste isole. Nel piccolo borgo di pescatori non vi è illuminazione stradale; il silenzio è assoluto.  Ritroviamo uno dei primi frantoi delle Eolie: per  la  ristrettezza dello  spazio non si potevano impiegare gli asini, e due persone, a braccia, dovevano spingere per l’intera giornata. Come tutte le isole dell’arcipelago delle Eolie, anche Filicudi è circondata da un mare limpido e luminoso. Sopra una ripida scogliera, andiamo a riscoprire i resti di una vecchia cava dove, fino ai primi anni del secolo scorso, venivano fabbricate macine di pietra. Per qualche ragione misteriosa, il lavoro si è interrotto all’improvviso: decine di macine, preparate con chissà quale fatica intagliando la roccia vulcanica, sono sparse ovunque. Ritroviamo  segni   dell’ antico metodo di estrazione: piccole cavità   ricavate  con la mazzetta  e il punteruolo, nelle quali si inserivano dei cunei di legno, che venivano costantemente spruzzati d'acqua. L'ingrossamento del legno provocava il distacco dei blocchi di pietra. Questi luoghi sono ricchissimi di storia, sia sopra che sotto la superficie dell’acqua. La zona sommersa di capo Graziano, con i resti di un gran numero di antichi naufragi, viene considerata come uno dei siti più promettenti per le ricerche di archeologia subacquea. Sebbene fino ad oggi sia stato esplorato solo lo strato superficiale dei relitti, sono già state recuperate decine di anfore, che fanno parte della preziosa collezione del Museo di Lipari. Abbiamo completato il giro dell’isola: nell’imponenza dei suoi 85 metri d’altezza, l’obelisco della Canna si specchia nell’oro del tramonto. Le rocce sommerse che circondano lo straordinario scoglio di lava sono un vero e proprio labirinto di caverne. Una volta, questo era il regno di uno fra i più splendidi abitanti delle scogliere del Mediterraneo: ogni anfratto era la tana di una cernia. Riusciamo ad incontrare una cernia solo oltre i 50 metri di profondità. Un giorno, se in queste isole sarà istituita una riserva naturale, quei meravigliosi animali del mare potranno ritornare a vivere nelle grotte poco profonde. La grotta del Bue Marino, un tempo, offriva rifugio alla foca monaca. Il suo arco alto 20 metri, ci permette di entrare con la nostra barca. E’ l’ingresso di un altro mondo: sentiamo di andare più vicini al cuore dell’isola. Le isole create dai vulcani sono “vive”. Sulle  rocce plasmate dal fuoco si legge il risultato di secoli di trasformazione. La comprensione dei cambiamenti geologici ci aiuta a comprendere la storia dei popoli che hanno abitato l’arcipelago nei tempi più remoti.  Ci dirigiamo verso un’altra isola che custodisce molti segreti.  Panarea è la più piccola e la più vecchia delle isole Eolie. Ma per quale ragione in essa non si distinguono le forme di un vulcano? All’estrema punta sud, uno zoccolo a forma di falce si protende sul mare con pareti verticali e inaccessibili. Capo Milazzese ospita i resti di un villaggio preistorico che ci arriva dall’età del bronzo - 3500 anni fa - quando le Eolie avevano una grande importanza per il commercio dell’ossidiana e la loro posizione strategica nel Tirreno, a nord dello stretto di Messina. Duecento persone, forse, vivevano qui, esposte al sole e al vento, ma ben protette, perché il promontorio, con le sue pareti a picco sul mare, e la piccola striscia di terra che lo collega all’isola di Panarea, è un’eccellente fortezza naturale. Gli archeologi hanno trovato ceramiche e altri oggetti ancora al loro posto, segno che il luogo fu abbandonato in modo improvviso e forse violento. Forse un’eruzione segnò la fine del villaggio. Ma dove potrebbe riconoscersi il cratere di un vulcano? Troveremo la risposta a questo interrogativo esplorando i fondali dell’isola. E’ noto a pochi, anche fra gli stessi abitanti delle isole, che nelle limpide acque di Panarea si nascondono le strutture di un’antica villa romana. Un breve tratto di mare divide Panarea dall’isolotto di Basiluzzo. In epoca romana fu costruita una villa proprio sulla sua sommità. Il proprietario, un miliardario del tempo, poteva ammirare lo splendido spettacolo dell’eruzione  dello Stromboli, da una terrazza pavimentata a mosaico. I resti della villa appoggiano su colonne di lava  che  scendono  a  strapiombo sul mare.  Ma anche 2000 anni fa la scogliera aveva questo aspetto? A sette metri di profondità ci appaiono le strutture del piccolo porto che permetteva l’approdo alla villa.  Queste mura sommerse testimoniano che, lungo i fianchi di Basiluzzo, i movimenti della terra hanno causato un abbassamento della linea della costa. Il fenomeno del bradisismo era già noto a Seneca: “Sarà utile mettersi bene in mente che con questi fatti gli dei non hanno nulla a che vedere e che gli sconvolgimenti della terra non sono effetto dell’ira dei numi”. Questi profondi mutamenti dipendono dall’inquietudine del vulcano di Panarea. Sono anche un segno che il fondo del cratere – fra le forme dell’isola non si distingue il cono di un vulcano - deve trovarsi sott’acqua, non lontano da questo luogo.  Panarea è circondata da una corona di scogli e isolotti levigati dal mare: questo piccolo arcipelago è il frutto dell’eruzione di un unico grande vulcano Il vulcano si frantumò, probabilmente in seguito a un’esplosione, sprofondando nel mare. Questi frammenti, e l’isola stessa di Panarea, appoggiano sullo stesso pianoro sottomarino: esso costituisce la base del grande cratere. Ci immergiamo in un irreale mondo sottomarino. Mentre ci avviciniamo al fondo, l’acqua diventa improvvisamente tiepida. Le emissioni gassose dominano il paesaggio sommerso: stiamo nuotando sopra la bocca del vulcano.  Queste  colonne  di  bolle  ci rivelano che non è del tutto addormentato. Le fumarole sommerse riscaldano le rocce e depositano sul fondo un candido velo di zolfo e di allume. Risalendo verso la superficie, le bolle gassose non aumentano di dimensione - come succederebbe se si trattasse di semplici bolle d’aria - perché alcuni dei gas che le compongono si dissolvono nell’acqua. Facciamo tappa ad Alicudi, la più selvaggia delle Eolie, nella pittoresca cornice di un viaggio nel passato: e non soltanto perché l’isola è priva di strade , e la corrente elettrica vi è stata portata solo di recente: non vi sono approdi sicuri, e potremo restare solo finchè dura la calma di mare. In una notte della fine di agosto, gli eoliani si raccolgono nel centro di Lipari - come riappropriandosi della loro isola, nel cuore della stagione turistica – per ricordare la storia del loro patrono S.Bartolomeo con una suggestiva processione, coronata da uno spettacolo straordinario di musica e di luci: i fuochi avvolgono il Castello, l’antica roccaforte dei pirati, e la chiesetta di Marina Corta, per poi ricadere sul mare. Secondo la leggenda, la salma del Santo fu trasportata sino al Porto delle Genti - il “Portinente” della Lipari di oggi - da un imponente sarcofago di marmo, che viaggiava solitario nel mare, incredibilmente sospeso sulle onde. Riprendiamo la navigazione, sulla stessa rotta che forse apparteneva alla nave di Ulisse. E’ il nostro saluto a queste isole che rievocano immagini di un tempo perduto, che ci sembrano ancora abitate dagli dèi del vento e del fuoco...