Vento di Mykonos

(segue) Puntuale come l’altalena delle stagioni, il vento del Nord, il Meltèmi, nasce con l’estate, e con forza crescente tormenta l’Egeo, forte come i suoi fratelli mediterranei, la Bora e il Mistral, e durevole come le correnti dei monsoni. La furia dell’aria si risveglia dal letargo a maggio, e come un animale selvatico scorrazza sul mare e sulle isole. A Mykonos, il vento riceve il nome degli oggetti che riesce a spostare: raffiche da campana, vento da sedia, vento da tavolo. La brezza constante, se pure rinfresca l’aria, disturba i turisti, gli isolani, e un altro particolare cittadino di Mykonos. Il pellicano si ripara nella parte più antica della città, un labirinto di vicoli che per secoli ha frenato non solo gli attacchi del vento, ma anche dei turchi e dei corsari. E mentre un uccello acquatico si ritira nella città, le tavole a vela scivolano sulle onde, spinte dallo stesso vento che mosse verso Occidente la nave di San Paolo e che frustò le vele dei crociati. I popoli del Nord sono stati attratti dal Mediterraneo sin dai tempi più antichi. Mentre i Dori scendevano dalle steppe russe, i Vichinghi si spingevano fuori dai loro fiordi su lunghe barche di pelle cucite. Giunsero come invasori barbari, come predoni normanni, come nomadi e avventurieri. Oggi vengono come turisti, a ricevere in cambio cose rare per loro, come il vino e il calore del sole. “Trattenendosi qui per una vacanza, i turisti hanno meno tempo per comprendere gli abitanti dell’isola di quanto hanno i Greci stessi per capire i loro ospiti Le differenze fra il Nord e il Sud non sono meno interessanti di quelle fra oriente ed occidente, e Mykonos è uno dei luoghi più adatti per osservarle”. Come protetta dall’intreccio delle stradine interne, la vita degli isolani non è cambiata molto dal tempo in cui gli unici visitatori di Mykonos erano le famiglie degli emigrati e qualche turista ateniese. Per tradizione, le donne di Mykonos si dedicano alla tessitura; i loro telai hanno confezionato non solo tovaglie e indumenti famosi per la qualità dei tessuti, ma anche animali, bambole e originali giocattoli di panno, autentiche creazioni di arte popolare. Nei secoli passati gli uomini furono grandi marinai, e si allontanavano per lunghi periodi. Le donne, allora, vivevano una vita solitaria, ed erano anche più importanti degli uomini negli affari dell’isola, tanto che i figli, le case e i terreni erano conosciuti con il loro nome e non con quello dei mariti. Se le pale dei mulini si sono fermate per sempre, vittime del progresso, la tradizionale pesca con la rete si avvale di un nuovo congegno meccanico, che permette di effettuare una singolare pesca allo strascico, la trata. La barca circonda una insenatura con una fitta rete, si ancora a terra, e subito le ruote dell’argano si incaricano di recuperare, metro per metro, fino al sacco, immancabilmente ricolmo di pesci e di alghe sradicate da fondale marino. Forse i pescatori della trata non hanno mai visto sotto la loro barca lo scenario lasciato dal passaggio della rete, che sollecita l’interesse di una murena. Oltre il luogo dove si è combattuta quest’impari battaglia, una torpedine plana sulla prateria di posidonie.  Questo pesce è un insolito generatore di corrente elettrica creato dalla natura milioni di anni fa. Con dei muscoli posti al lato degli occhi, formati, proprio come negli accumulatori, da placche disposte una sopra l’altra, la torpedine può liberare scariche fino a 100 volts. Per questo lento nuotatore l’energia elettrica è un arma insostituibile per la cattura delle prede, ma per il basso amperaggio essa è innocua per l’uomo. Antichi trattati di medicina, anzi, consigliavano applicazioni del pesce sulla testa degli epilettici, per curare la malattia. Mentre la torpedine si sviluppa sin dallo stato embrionale come un pesce piatto, i rombi e le sogliole, nella fase giovanile, nuotano in superficie, con gli occhi disposti sui due lati del corpo, come nei pesci comuni. Poi avviene una metamorfosi: un occhio comincia a migrare accanto all’altro, il corpo si appiattisce, e il pesce scende verso il fondo marino, dove trascorrerà tutta la sua vita appoggiato sul fianco. La sogliola può alzare e abbassare i suoi occhi, usarli come timoni nei suoi spostamenti, e anche ruotarli come periscopi, quando si sofferma al di sopra o al di sotto del manto sabbioso. Dotato sia di spine velenose che di un organo elettrico, il pesce prete è anche chiamato dai pescatori pesce lanterna, mentre per la sua espressione è denominato dagli scienziati uranoscopo, ovvero pesce che guarda il cielo. Per tutte le creature marine che vivono nei fondali sabbiosi per l’innocuo paguro come per la velenosa tracina, cacciatori o prede in un alterno gioco di parti, l’unica possibilità di nascondersi è quella di seppellirsi nella sabbia. Lo scorfano non ama nuotare, e non potendo interrarsi, si camuffa vivendo la maggior parte del tempo nella immobilità assoluta, adeguando il colore della sua pelle all’ambiente che lo circonda. Nella luce naturale, sott’acqua, il rosso non è visibile, è così uno degli animali mediterranei più pericolosi per un nuotatore è anche uno dei più difficili da scorgere. Ma i veri maestri del mimetismo sono i molluschi, in grado di cambiare colore molto più rapidamente dei pesci, come la seppia, parente prossimo delle ostriche e dei mitili, e il polpo, comune ma sempre spettacolare. Denigrato per secoli da leggende di terribili piovre, si è rivelato ai primi subacquei come uno dei più intelligenti animali marini. Ama essere accarezzato fra gli occhi, ma si stanca presto di giocare, perché il suo sangue non contiene ferro, ma rame, un elemento molto meno efficace per trasportare l’ossigeno necessario alla vita. Per sua sfortuna, il polpo è molto apprezzato sulla tavola dei greci, e i caratteristici preparativi - lo sbattimento, la strofinatura, l’essiccazione - sono uno spettacolo frequente. Il porto di Mykonos, seppure si piega a semicerchio, non è un vero porto naturale. Non è protetto dal vento del nord e le sue acque sono poco profonde. Nel 1200, quando giunsero le navi di Venezia, il quartiere dei nuovi dominatori dell’isola fu costruito in un’altra insenatura: la Piccola Venezia, una fila di case con i balconi sporgenti che permettevano un diretto contatto con le navi e con il mare. I due secoli in cui Mykonos fece parte del ducato veneziano di Nasso furono un’età molto felice. I mulini fabbricavano un pane di lunga durata, la paximada, precursore delle gallette, del quale venivano a rifornirsi le navi in rotta fra oriente e occidente. I veneziani costruirono le prime dimore per i piccioni viaggiatori, che i capitani delle navi inviavano alle loro famiglie. Vicino alle case più antiche dell’isola manca di rado una piccionaia particolare, ornata come una torta nuziale da creste di pietre, per ospitare i discendenti di quei leali messaggeri.  Fra i cubi delle case si intrecciano vie strette e tortuose, eredità di un passato lontano. Nel corso dei secoli questo labirinto ha difeso l’isola dagli assalti.  Uno straniero è presto obbligato a girare in circolo, si ritrova in punti che si possono facilmente sorvegliare dai tetti, dove oggi le uniche improbabili sentinelle sono le forme dell’architettura cicladica. Le origini di questa architettura si perdono nella storia. Delo, l’isola più importante del mondo antico, sede dell’oracolo di Apollo, è solo ad un miglio di distanza. Da Milo a Paro, da Nasso a Santorini, le isole Cicladi devono il  nome al fatto che sono disposte in cerchio intorno all’isola sacra al Dio del Sole. Da duemila anni i soli abitanti di Delo sono i leoni di pietra che guardano verso l’alba, e le agame, che gli antichi credevano coccodrilli giunti a nuoto dal Nilo, sciupati per il lungo viaggio. L’architettura tradizionale di Mykonos ha la sua origine a Delo. La dimensione delle case, la misura e il tracciato delle strade della gloriosa città deserta hanno ispirato gli architetti di Mykonos. Dalle case dell’antico villaggio di Delo i muratori di Mykonos hanno addirittura prelevato le pietre da usare nelle loro costruzioni sicchè è rimasta priva di copertura anche la splendida casa dei Delfini, con i mosaici che raffigurano l’animale marino che più di ogni altro è il simbolo della navigazione. Proprio i resti dei naufragi, memorie di disastri avvenuti millenni fa, ci mettono in contatto con le origine perdute, restituendo frammenti delle antiche civiltà del Mediterraneo. Non si saprà mai in quale porto fosse diretta la galera che ha ceduto all’assalto delle onde, ma basterebbe il semplice ritrovamento di una moneta per collocare esattamente nel tempo tutto il carico della nave In questo immenso museo sottomarino i piccoli abitanti della scogliera  custodiscono oggetti di uso comune, cose della vita di tutti i giorni, così come tesori e misteri che attendono ancora di essere liberati dalla loro tomba marina. Non lontano dallo scintillìo delle acque superficiali, vivono i discendenti di una delle più antiche forme di vita, membri di una famiglia che non comprende solo animali marini: i crostacei. L’aragosta è priva di spina dorsale, il carapace è il suo scheletro esterno, una corazza alla quale sono saldati numerosi arti, alcuni specializzati nel movimento, altri nella nutrizione, altri ancora nel tenere le uova sotto l’addome. Il suo rigido guscio, come l’armatura di un guerriero medioevale, la costringe ad una goffa andatura. Come fra le pietre del fondo e i granelli di sabbia la differenza è nelle diverse dimensioni, così fra l’aragosta e un gambero rosso è solo una questione di taglia. Un altro crostaceo trova più comodo abitare le conchiglie abbandonate dai molluschi, invece di costruirne una. Bernardo l’eremita non ha buone maniere a tavola, e dei suoi festini approfitta un anemone simbiotico, che in cambio offre la protezione di un arsenale di fili urticanti. L’elefante di mare, meglio noto  come astice, è un animale solitario. Le sue grandi chele asimmetriche sono potenti pinze, armate con un temibile assortimento di denti. Cacciatore notturno, si fa sorprendere in una passeggiata sulla sabbia .Se è solito vivere al riparo nei buchi e nelle fenditure della roccia, l’astice sa anche scavare tane nella rena per infossarsi quando è più vulnerabile, nei periodi successivi alle mute. La leggenda vuole che Mykonos sia quel pezzo di roccia che Posidone scagliò contro i giganti, che ancora giacciono sepolti nelle viscere della Terra. In una lunga galleria  nel cuore della scogliera, per millenni avvolta nelle tenebre, la magìa della caverna sembra evocare il mito dei Titani Al termine dello stretto passaggio, le bolle d’aria escono dal mondo delle ombre, risuonando come in una canna d’organo, compagne del nostro viaggio in un passato più antico della storia. Gli antichi vissero nella convinzione di abitare un mondo sacro, popolato dagli dèi. Oggi, la fede profonda degli isolani e l’attaccamento alle tradizioni religiose sono testimoniati in ogni altura e in ogni strada di Mykonos. Quattrocento chiesette e cappelle sono sparse nella città, in certi vicoli ancora più numerose delle case, o spiccano nelle colline color seppia. Poche sono adibite al culto, per lo più esprimono offerte votive, o, come la piccolissima “chiesa del gatto”, il ringraziamento di poveri marinai, scampati a naufragi o a tempeste in mare. La chiesa più famosa dell’isola, la Madonna Paraportiani, ricorda nel suo nome e nel suo disegno, di essere edificata sulla porta di un’antica fortezza. Mykonos dista solo 8 miglia marine da Tinos, l’isola sacra alla Madonna, dove ogni anno migliaia di Greci si recano in devoto pellegrinaggio. A Mykonos, invece, non c’è occasione migliore del Paneghìri, la festa del santo del giorno, per riunire la gente dell’isola in una gaia festa collettiva, un composto di sacro e di profano da cui risulta un sorprendente compendio del senso sincero del Cristianesimo. Di fronte alle icone di santi dall’espressione soave, alla luce di candele accese con discrezione, si svolge una parte importante della vita della comunità, e nello stesso tempo si raggiunge una comunione mistica non inferiore a quella di fastose e ricche cattedrali. Alla liturgia, dentro e fuori la cappella, segue una festa per la quale non occorrono inviti. Non soltanto gli animali terrestri hanno fornito le materie prime per la costruzione di primitivi strumenti musicali. Milioni di anni, fa gli antenati del tritone si sono specializzati nell’impregnare di calcio il loro mantello. Generosamente, questo mollusco gasteropode ha offerto ai popoli mediterranei, così come ai polinesiani, la sua abitazione, da usare come strumento musicale o come mezzo di comunicazione. Pilotata dai suoi occhi, che sono innestati su due antenne flessibili indipendenti, la tromba di mare si trascina il suo pesante fardello, senza spingersi mai oltre i 50 metri di profondità. Il tritone svolge la sua missione più importante nei mari dei coralli, dove la natura lo ha incaricato di contenere l’espansione dell’acantaster, la stella marina che si ciba dei polipi del corallo e causa la morte delle barriere. Al calare della sera, il tritone continua la sua marcia, flemmatico cacciatore alla ricerca di piccoli molluschi. Nella lotta per la sopravvivenza, non sempre sono gli animali più forti a prevalere, ma quelli meglio adattati. In questo incontro fra Davide e Golìa, la minuscola sferonassa e l’imponente tritone, il più piccolo ha salva la vita evitando il conflitto, ritirandosi nella sua nicchia ecologica, i meandri sotterranei che si scava al di sotto dei fondali sabbiosi. Se il tritone ha offerto un servizio alla comunicazione marittima e alla musica, un altro mollusco mediterraneo, il murice, ha sfiorato l’estinzione perché con la sua preziosa linfa, la porpora, l’uomo potesse tingere stoffe e dipinti. La bottega di Mercurio, a Mykonos, è uno degli ultimi luoghi dove le icone sacre sono dipinte con l’avgotempera, la tempera all’uovo. Qui, come nei monasteri di Monte Athos, si perpetua l’antica arte di formare i colori impastando il tuorlo d’uovo a polveri ricavate da minerali e metalli ossidati, come insegnato nel 1400 da Cennino Cennini nel Libro dell’Arte, che è nello stesso tempo il primo trattato di pittura e il primo manuale in italiano volgare. L’architettura pittoresca di Mykonos, la vicinanza con l’isola di Delo e l’ambiente cosmopolita sono i motivi che hanno spinto un gruppo di artisti a vivere e lavorare a Mykonos . Un pescatore subacqueo che spesso ritornava dal mare con blocchi di marmo e porfido è diventato uno degli scultori greci più conosciuti nel mondo. “La pietra, all’inizio è un semplice cubo. Con lo scalpello lavoro ora qui ora lì. E’ un altro modo, è una tecnica antica. La testa è qui, il piede è lì. Dopo, a poco a poco,  la testa dell’angelo si volta, si gira all’indietro. vedi? Cambia a poco a poco”. Xristos Xristou libera dalla materia le forme che gli sembrano suggerite dalle venature naturali della pietra. Il pesce S.Pietro, che i greci chiamano “Pesce di Cristo”, è una creazione del più grande degli artisti, la natura. Secondo la leggenda,questo pesce porta al centro del corpo l’impronta del dito di S.Pietro, che lo toccò, su ordine di Cristo, per ritirare una moneta d’oro dalla sua bocca. La macchia scura, esposta come una medaglia, non è un semplice ornamento Sembrando un occhio, essa difende il lato più debole, facendo apparire il suo profilo come una grande testa. Anche lo zerro, pesce comune nel Mediterraneo, si fregia nel fianco di una macchia oculare. La luce dei fari lo abbaglia, come accade anche ad uno scorfano, e alla maggioranza dei pesci. Al contrario il pesce S:Pietro non ne è intimidito, e si rivela un indimenticabile compagno in quest’ultima immersione notturna nelle acque di Mykonos. Avviene anzi che voglia approfittare di questo sole artificiale per avvicinarsi al suo boccone preferito. L’attarino, simile alla sardina, uno dei primi anelli della catena alimentare marina. Nonostante l’aiuto delle luci, la cattura della piccola preda non è priva di difficoltà. Il nostro amico… non sa che pesci prendere! Ma poi, il successo premia questo insolito sodalizio di pesce fra un subacqueo e un pesce. Il pesce S.Pietro esprime la sua riconoscenza con uno splendido ballo acquatico. Il mondo delle creature marine è governato dalla legge della sopravvivenza: il più forte mangia il più debole. Per una volta, in questa crudele recita, l’uomo non è stato il protagonista ma un semplice e affascinato spettatore...