Andrea Cochetti   -    Subaco productions 
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3) Tempi in fondo al mare
(Italia, Grecia, Turchia, Giappone)
Siamo nel golfo di Napoli, a pochi metri di profondità. Il fondale pavimentato a mosaico, resti di colonne e ed enormi poligoni squadrati di marmo (la leggendaria Via Herculanea!) sono solo alcuni resti dello splendore della antica Baia: l’Acapulco dell’impero romano... In questa città sommersa, il romanzesco ritrovamento del Ninfeo di Ulisse, con la sua straordinaria collezione di gigantesche sculture marmoree, costituisce una delle pagine più emozionanti dell’archeologia sottomarina. Al largo delle coste ioniche della Puglia, una spettacolare distesa di giganteschi manufatti di marmo offre uno scenario tanto maestoso da rievocare il fascino della leggenda di Atlantide: anche se si tratta semplicemente del naufragio di una navis lapidaria - uno dei tanti che punteggiano la scia delle più antiche rotte del Mediterraneo - sembra che qui la realtà possa superare ogni immaginazione. Al centro del Golfo di Taormina, che fa da sfondo alla scena dell’antico teatro,  ci immergiamo nel sito del naufragio di una nave che trasportava  le parti di un antico tempio greco...progetti_ital_3_archeologia_files/mosaico%202.jpgprogetti_ital_3_archeologia_files/jellyfish.jpg

19) Gianni e il Mistero della Città Sommersa

(Soggetto Cinematografico)                         












                                

                                                                          leggi il soggetto            

7) Le Grotte di Ponza

(Arcipelago Pontino)

All’estremità del pittoresco porticciolo di POonza, le enormi cavità che si aprono nella roccia non sono state scavate dal vento e dal mare: il murenaio fu utilizzato nell’antichità per l’allevamento e la conservazione dei pesci. Ci troviamo in un atrio scolpito nella roccia duemila anni fa, assecondando l’arco di una cavità naturale: forse la “piscina di Pilato” è stato uno dei primi grandi acquari della storia! L’esplorazione di questo complesso intreccio di grotte e condotti sommersi offre elementi preziosi per comprendere i cambiamenti del livello del Mediterraneo, e ci rivela quanto fossero progredite le conoscenze degli ingegneri romani. Ci si schiudono le porte di un suggestivo mondo sotterraneo, scavato nella roccia duemila anni fa, addirittura anche sotto il pelo dall’acqua, fino a una profondità di tre metri. Fra le pietre del fondo scopriamo numerose murene, probabili discendenti di quelle che furono ospiti qui in età romana. L’antico acquedotto - Quando Roma si trovò a fronteggiare il predominio di
Cartagine sul Mediterraneo, fece di Ponza la prima base navale della sua storia. Povera di sorgenti, ma così importante, l’isola fu organizzata per garantire autonomia a chi vi risiedeva stabilmente e assistenza a chi vi facesse scalo: le acque piovane venivano raccolte nelle zone più alte: un acquedotto scavato nella roccia correva lungo tutto il versante orientale dell’isola. Grazie ai crolli, riscopriamo parti di questa opera poderosa. Le buche di cala Feola - Nella baia di Cala Feola, tutta la scogliera è bucherellata da misteriose aperture squadrate. Alcune cavità sono utilizzate come riparo dagli abitanti dell’isola. Scopriamo che le buche furono scavate in epoca romana in una roccia porosa che permette il passaggio dell’acqua marina; al loro interno i pescatori conservavano in vita le aragoste: animali che frequentano ancora queste scogliere. La vasca di Zannone - Navigando a zig zag, superiamo una zona di scogli pericolosi per raggiungere  la più piccola isola dell’arcipelago pontino.   Fra i tufi di una scoscesa scogliera si nasconde l’accesso ad una delle meno conosciute peschiere dei Romani. Una grande camera scavata nella roccia, alimentata da un solo condotto sottomarino, permetteva ai pescatori dell’isola di conservare il pesce, che probabilmente era destinato al grande mercato di Roma. Le “cattedrali” di Palmarola – La costa di Palmarola si piega in una insenatura che ci offre uno spettacolo primordiale di geologia e erosione marina: le “cattedrali”, pilastri di roccia simili a enormi canne d’organo, affondano in un mare di una trasparenza assoluta. Ai piedi della parete, si apre un labirinto di cunicoli e anfratti: le fessure sono gremite da sciami di gamberi. La vita, qui, sorride agli scorfani, maestri nell’arte dell’attesa. La loro presenza lascia presagire gli infiniti drammi che hanno luogo nell’oscurità...
 

10) La città sommersa di Baia  

(Golfo di Napoli)

Baia era l’Acapulco dell’Impero romano. La sua storia è meno conosciuta di quella di Pompei e di Ercolano, eppure questa grande metropoli sommersa è  proprio  l’Atlantide italiana.  Perlustriamo  i fondali del Golfo di Napoli: in alcuni punti, fra Capo Miseno e Pozzuoli, il livello del mare è salito di oltre 15 metri. A 7 metri di profondità, siamo fra le pareti di una casa! Nuotiamo fra le rovine di una città sommersa.  Edifici, fondazioni, strade,  manufatti:  tutto  è  stato trasportato sotto il mare.  Il movimento delle onde scopre parti di mosaico. Ecco le parti di un pavimento: fu calpestato da uomini e donne di duemila anni fa...Ci appaiono grandi parti di una strada lastricata di marmo, lunga decine di metri: è la Via Herculanéa.  Prima che Baia fosse scoperta, il suo ricordo sfumava tra storia e leggenda. A 20 metri di profondità, ci imbattiamo in un’esalazione di natura vulcanica: una  testimonianza eloquente dell’inquietudine di una terra ancora molto giovane.  Questa zona sommersa si appoggia sulla stessa dorsale di natura vulcanica che si ricongiunge ai vulcani flegréi. Le emissioni di gas e liquidi che costellano il fondale sono un’altra conferma del fatto che lo sprofondamento di Baia è in collegamento con l’attività del vulcano stesso di Napoli, il Vesuvio. Ecco le nicchie del ninfeo di Baia: la sua scoperta costituisce una delle pagine più emozionanti dell’archeologia subacquea. Con l'aiuto delle mareggiate invernali, è stata  fatta  la  prima  scoperta:    sono emersi   dal fondale sabbioso i contorni rettangolari di un edificio in marmo ed un ninfeo a forma di semicerchio, dal quale affioravano dei pezzi marmorei. Dopo che un archeologo ha intuito che in essi potevano riconoscersi due personaggi dell'Odissea (Ulisse ed un suo compagno che tentano il fatale inebriamento di Polifemo), gli scavi hanno ricevuto un nuovo impulso, e sono state recuperate le statue di Polifemo e di altri componenti   del   gruppo   marmoreo. Ecco il punto dove sono state ritrovate decine di lucerne! Siamo immersi con i testimoni dei ritrovamenti e gli archeologi che studiano la topografia della città, citata anche in un brano degli Atti di S.Pietro e Paolo: Paolo, "venuto da Pozzuoli in un luogo chiamato Baia", invoca la collera del signore per l'ingiusta uccisione, in sua vece, del capitano della sua nave, e, poi, quella città "viene a sommergersi fino alla profondità di un braccio".  In questo ampio tratto di mare, il bradisismo ha provocato la sommersione di migliaia di metri quadrati di aree intensamente edificate in epoca romana.   Ritroviamo altri splendidi mosaici sommersi, parti di colonne, i resti di edifici romani che si inoltrano verso il largo per centinaia di metri, fino alla probabile linea antica della costa. I segni lasciati dalla corrosione sulle colonne dell'antico mercato di Pozzuoli indicano anzi che il mare raggiunse un livello superiore a quello attuale.
 

11) Il Tempio Sommerso di Taormina

Quando i greci costruirono le loro colonie, vollero ricreare monumenti splendidi quanto quelli della madrepatria. Con il suo mare di cristallo, il golfo di Taormina fa da sfondo alla scena dell’antico teatro: in questa zona, le acque riparate dello stretto di Messina sembrano calme, ma sotto la superficie sono capaci di sviluppare tempestose correnti, che trasformano il mare in un gigantesco fiume. C’è un tempio in fondo al mare, proprio al centro del golfo di Taormina: a 30 metri di profondità, grandi colonne di marmo e blocchi semilavorati offrono riparo a un bizzarro popolo di creature marine. Sono i resti del naufragio di una nave che trasportava marmi destinati ad un antichissimo tempio, e che perse qui il suo prezioso carico. Ci imbattiamo in due imponenti colonne.  Nonostante siano quasi completamente deturpate dalla corrosione, riusciamo a intravedere le tracce di una raffinata lavorazione a spirale. Le colonne sono ricoperte di spirografi, stelle e cavallucci marini, mentre offrono riparo ad un intero popolo di triglie. Un grande polpo è il solitario custode di questo affascinante museo sommerso.
 

15) I pendolari del Marmo

(Grecia, Italia)

Tesori di pietra sepolti nel mare, segno di legami remoti fra oriente e occidente, punteggiano la scia delle più antiche rotte del Mediterraneo. Il relitto delle colonne - Nel 67 a.C. Nerone ordinò che si iniziasse la costruzione del canale di Corinto, che fu ultimato, seguendo fedelmente il suo dettagliato progetto originario, solo nel 1893. Prima di allora, le navi dirette verso occidente dovevano transitare a sud del Peloponneso.  La fortezza di Metòni fu costruita nel Medio Evo, per proteggere le navi di Venezia che venivano a rifornirsi di seta. L’antico nome della penisola era Morèa, per la grande quantità di gelsi che vi crescevano e permettevano di produrre la preziosa fibra. A  poca  profondità,  ai piedi della scogliera, ci appare un gruppo di colonne di granito. Non vi è alcuna traccia della nave che le trasportava. Forse si tratta di un naufragio molto antico, o forse la violenza del mare spinse il relitto lontano dal punto in cui perse il suo carico. E’ stato calcolato che il peso di questo trasporto doveva essere di 132 tonnellate, e quindi trasportabile con sicurezza da un nave di 30 o 40 metri.  Sappiamo dall’Iliade che Metoni era una delle città che Agamennone   offrì  ad  Achille  per placare la sua collera. Il Regno di Nestore era il più importante, nel Peloponneso, dopo quello di Agamennone, e il suo grandioso palazzo sorgeva a Pilo, distante solo  pochi chilometri da Metoni. Forse queste enormi colonne erano destinate alla leggendaria reggia di Nestore? Le antiche raffigurazioni esaltano lo splendore del palazzo, ricchissimo di statue e di colonne, splendidamente decorato con oro, avorio e marmi, a somiglianza dei palazzi minoici, e ci ricordano che gli antichi dipingevano spesso le loro opere, anche quelle in marmo. Il relitto di Pilo - Per le navi che fanno rotta dal Mar Egeo verso lo Ionio, il braccio di mare che separa l’isola di Sapienza dall’estrema punta meridionale del Peloponneso è un passaggio obbligato, oggi come  duemila anni fa. Nelle  luminose acque dei bassi fondali si è compiuto un altro antico dramma del mare. La scarsa profondità ci permette di esplorare la zona in apnea. Incontriamo 4 sarcofagi, appena inverditi   da   un   leggero   strato   di vegetazione  marina.   Le ghirlande in rilievo scolpite sui lati sono soltanto abbozzate; una volta giunti a destinazione, uno scultore avrebbe dovuto terminare i dettagli dei petali e delle foglie, e aggiungervi forse qualche iscrizione. Nel naufragio, i coperchi sono stati deposti sul fondo. Siamo di fronte ad un vero e proprio commercio di prefabbricati che risale a due millenni fa. Questo carico doveva essere molto prezioso per chi ne attese invano l’arrivo. I sarcofagi sono intagliati in un materiale al quale gli antichi attribuivano qualità prodigiose: una pietra vulcanica proveniente da Assos, nella Troade, che aveva, secondo Plinio, la capacità di consumare il corpo del defunto in soli 40 giorni. Questa opinione doveva essere molto diffusa, se il nome di questa pietra dalle macabre virtù - Lapis Sarcofagus, letteralmente “pietra che divora la carne” - fu universalmente utilizzato, sia in latino che in greco, per indicare le  caratteristiche  bare di pietra o di marmo, i sarcofagi appunto, in tutto il mondo antico. I Sarcofagi di S.Cesareo - Alla punta estrema della penisola Italiana, le coste della Puglia si affacciano sul Mar Ionio, esposte ai venti che corrono dal sud. I resti del naufragio di una navis lapidaria rappresentano forse il sito archeologico sommerso più spettacolare, e nello stesso tempo meno conosciuto, delle coste italiane. L’imponente carico marmoreo si trova alla profondità di soli 5 metri, davanti ad una spiaggia: si possono contare 24 sarcofagi. Dove il moto ondoso solleva la sabbia del fondo, il marmo mette in mostra tutto il suo candore. Ricoperto da un leggero strato di sedimenti, sembra essere stato risparmiato dall’erosione marina. Un destino diverso è toccato allo scafo della nave naufragata, che nel corso dei secoli si è completamente dissolto nel mare: forse  però alcune parti in legno giacciono al di sotto del manto sabbioso. Nel periodo di maggior splendore della Roma imperiale, le imbarcazioni destinate al trasporto dei marmi raggiungevano dimensioni enormi.  Il subacqueo è privilegiato: entra in contatto con un mondo diverso, dove ogni scoperta provoca sempre una profonda emozione. Spettacoli come questo suscitano le più grandi emozioni: sono capaci di evocare  il ricordo del mito di Atlantide, del viaggio degli Argonauti, di storie di antichi cantori, memorie di un tempo in cui questo mare era ancora abitato dagli dèi… Il materiale più pregiato  non era il comune marmo lunense, proveniente da quelle che oggi sono le cave di Carrara, l’antica Luni, ma quello che veniva trasportato dalla Grecia e dall’Asia Minore, con lunghi viaggi per mare, e quindi veniva chiamato “transmarinus”. Questi marmi dovevano essere molto preziosi per chi ne attese invano l’arrivo. Le sporgenze esterne, lasciate grezze, facilitavano il trasporto dei blocchi, ciascuno pesante decine di tonnellate; nella lavorazione finale gli artigiani le avrebbero trasformate in teste di leone o in altre decorazioni. Questa nave naufragò probabilmente nel II sec a C: il suo prezioso carico proveniva da qualche isola greca o forse addirittura dalla lontana, magnifica, Afrodìsias, in Turchia. La nave si accingeva a superare lo stretto di Messina, per proseguire nel Tirreno alla volta di Roma, o forse la sua destinazione era Taranto, rinomata per le sue botteghe di scalpellini specializzati nell’eseguire preziosi abbellimenti?

Farebbe propendere per questa ipotesi la presenza di numerosi  naufragi di carichi marmorei in tutta la zona dei bassi fondali che si estendono fra la città di Taranto e S.Maria di Leuca.I sarcofagi sono intagliati in un materiale al quale gli antichi attribuivano la qualità prodigiosa di consumare il corpo del defunto in solo 40 giorni. L’opinione doveva essere molto diffusa in tutto il mondo antico, se il nome Lapis Sarcofagus, letteralmente “pietra che divora la carne” fu universalmente utilizzato sia in latino che in greco, per indicare le caratteristiche bare di pietra o di marmo.

 

16) Il Porto di Roma

Nell’epoca in cui Roma divenne la capitale di un impero e il centro di tutte le rotte, la sua popolazione superava i 2 milioni di abitanti. Scriveva Tacito: "La vita del popolo romano è alla completa dipendenza di quanto viene dal mare: dall’Egeo, dall’Africa, dall’Egitto".  La città stessa era nata grazie alla presenza del fiume e alla creazione di un grande porto, che si era sviluppato lungo le due rive del fiume, ma che è sconosciuto ai romani di oggi. Il Tevere rendeva possibile un collegamento privilegiato con il Mediterraneo, funzionando come una grande autostrada fra la città e il mare. Tutto il fiume assumeva l’aspetto di un grande porto, formato da banchine per l’attracco e zone di darsena difese dall’azione della corrente. Un mondo di cui sembrava persa ogni traccia. Ma di recente, inaspettatamente, è stato localizzato un imponente complesso di banchine portuali, articolate su tre piani e comunicanti con lunghe file di magazzini. Nella riva sinistra del Tevere, all’altezza del quartiere Testaccio, un intraprendente archeologo ha recuperato i resti del grandioso porto fluviale di Roma antica. Il Tevere è un fiume di carattere torrentizio: vi era la necessità di disporre di strutture per l’ormeggio, collocate su piani diversi in corrispondenza dei livelli stagionali del fiume.  Sono stati individuati i resti dello scalo della Marmorata, che era nello stesso tempo un approdo, un deposito, e un emporio per i marmi. La grande quantità di monete rinvenute in alcune stanze ha rivelato la presenza degli uffici portuali.  Possiamo immaginare uno scalo marittimo brulicante di vita: marinai che giocano a dadi, braccianti che scaricano mercanzie, pescatori e viaggiatori che si rifocillano ad una locanda. Ma quali possibilità d’approdo vi erano per una nave giunta nelle acque di Roma? Il fiume era navigabile, ma non per le navi troppo grandi. Alla foce del Tevere esisteva uno dei più grandi porti dell’antichità, nel quale, al tempo dell’Imperatore Traiano, potevano trovare ormeggio 350 grandi navi. Qui avveniva il trasferimento delle merci su navi di pescaggio limitato, in grado di navigare sul fiume. Trainate da buoi, queste barche impiegavano tre giorni per risalire i 24 km che separano la foce dall’emporio della Marmorata. I primi carichi di marmi giungono a Roma nel II sec a C.: un fenomeno considerato all’inizio una manifestazione di lusso smodato. Nell’epoca imperiale la diffusione dei marmi nell’edilizia è tale che “tutta la città è bianca di marmo, e abbagliante nella luce del sole”. Si cercano i marmi più pregiati nelle cave sparse nelle coste del Mediterraneo, dal Nordafrica sino al Mar di Màrmara, e, in un caso, anche incredibilmente più lontano: si è trovata la prova di un’importazione di marmo dall’isola di Taprobane, l’attuale Sri Lanka. Alcune navi trasportarono enormi obelischi. Gli antichi autori descrivono l’affondamento intenzionale di una gigantesca navis lapidaria messa in disarmo. Era la nave che per ordine di Caligola aveva trasportato dall’Egitto il grande obelisco per il circo vaticano, che ancora oggi domina il centro della piazza di S.Pietro.  Davanti alla foce del Tevere sono stati trovati i resti dello scafo: dopo essere stato riempito di tufo e di pozzolana, servì da base per le fondazioni del grande faro che segnalava l’entrata del porto di Claudio, ad Ostia. Gli scavi nel porto di Claudio testimoniano che nell’antichità la comunicazione marittima era privilegiata rispetto alla comunicazione di terra, e che tutto il sistema di navigazione era collegato puntualmente con i fiumi, adibiti come grandi strade a trasportare le merci.
 

17) Le Colonne di Roma

Si è calcolato che a Roma, dopo secoli di distruzioni, siano sopravvissute 8000 colonne; oltre a innumerevoli sculture, sarcofagi, decorazioni architettoniche. La colonna Traiana, ad esempio,  fu composta con 19 blocchi di marmo. Alta 42 metri, è un capolavoro della scultura di tutti i tempi. Sul fusto si snoda un bassorilievo lungo 200 metri, che racconta la storia della guerra contro i Daci attraverso 2500 figure scolpite. Cava all’interno, è attraversata da una scala a chiocciola ancora praticabile, che conduce alla sommità del monumento. I marmi condivisero fortuna e declino di Roma. Con la diffusione del cristianesimo, i templi, luoghi pagani, furono in parte conservati come opere d’arte. Come nel caso della chiesa di S.Lorenzo in Miranda, che fu costruita all’interno del pronao del tempio di Antonino e Faustina.  Se non fosse esistita la rotta dei marmi, non sarebbero esistiti tesori artistici di inestimabile valore.
 

4) Il segreto del lago

(L'Aquila)

Casualmente, durante i lavori
per l'impianto di una vigna, ai confini dell'antica necropoli di Ofena, in provincia dell'Aquila, è ritornata alla luce dopo 2600 anni una statua meravigliosa ed enigmatica, sormontata in modo singolare da un grande disco di pietra. Il guerriero di Capestrano è il simbolo stesso dei misteri che circondano le più antiche civiltà italiche. Pochi sanno che nella zona del ritrovamento vi è un piccolo lago, incastonato fra le stesse colline, che nasconde uno scenario sottomarino di un fascino incomparabile. Un villaggio di pietra del 1200, con le sue case ed i suoi mulini perfettamente visibili fa la sua magica apparizione fra le acque limpidissime del piccolo specchio d’acqua.
 

2) Il Mistero della Grande Croce Sommersa

(Corsica)

Secondo la leggenda, le Bocche di Bonifacio sono quel mare sconosciuto dove Ulisse incontrò i Lestrigoni, giganti che facevano rotolare enormi pietre dai monti.  Le enormi sculture nella roccia, foggiate in forme astratte o a guisa di animali, sono quel che rimane di un antico ponte: una terra che quattro milioni di anni fa congiungeva la Corsica e la Sardegna. Questo braccio di mare non è solo disseminato di relitti di tutte le epoche... Ad una profondità di soli dieci metri, ci appare una misteriosa gigantesca croce: con infinita emozione ci accorgiamo che è formata da enormi colonne e blocchi di marmo. Il mare ci restituisce un tassello della nostra storia: la realtà supera ogni immaginazione. Questo spettacolo maestoso e affascinante rievoca un tempo perduto: ci ricorda che il Mediterraneo è un mare unico al mondo. Ma per quale ragione blocchi pesanti decine di tonnellate, sono disposti in questo modo sul fondo? E quale era la provenienza della nave
che li trasportava? Lo spettacolo della croce è di grande suggestione, e solo dopo aver superato l’emozione ci si può rendere conto che si tratta di semplici colonne di marmo, tenute insieme da altri pezzi di forma quadrata o rettangolare: sicuramente allo scopo di bilanciare il carico della nave che doveva attraversare le Bocche. Si può supporre che provenisse da Carrara, e che, attraverso Bonifacio, fosse diretta a Narbona. Era una nave molto lenta - doveva viaggiare a circa due nodi - e probabilmente anche qui, a bordo, si trovavano degli scalpellini, che continuavano il lavoro iniziato a terra: l’intaglio delle colonne.  Ed ecco come è cominciata la nostra storia. Lavezzi ha fama di essere disabitata: in realtà l’isola ha  un suo  residente  stabile, un uomo che ha saputo sottomettersi ad una natura che impone il suo tempo. La sua casa non è fra le rocce dell’isola, ma una piccola barca che gli consente di ripararsi nelle più piccole insenature. La burrasca può alzarsi all’improvviso in ogni stagione. Il nostro ospite ci rivela una sua sorprendente esperienza. Nel corso di un’immersione in corrente si è imbattuto in una gigantesca croce di marmo distesa sul fondale. Un ritrovamento straordinario, la traccia di un naufragio antico e misterioso. Le coordinate sono solo approssimative, ma decidiamo di intraprendere una ricerca insieme. La zone delle ricerche comprende un vasto braccio di mare esposto alle correnti e disseminato di relitti di tutte le epoche. Non tardiamo a fare una prima scoperta: un piccolo gruppo di anfore; alcune sono perfettamente integre. Dopo molti tentativi, finalmente siamo vicini alla croce misteriosa. Ad una profondità di soli dieci metri, ci appaiono enormi colonne e blocchi di marmo...
 

5) A Roma si Racconta che... (serie)

Storie e aneddoti che appartengono alle antiche radici della nostra cultura si trasformano in piccole avventure ricche di sorpresa ed emozione, sospese fra il presente e il passato, al confine fra mito, storia e leggenda. Andare alla scoperta delle infinite storie che si nascondono dietro a un angolo della città, o nei suoi sotterranei, può diventare una piccola affascinante  avventura: Roma è un luogo magico e ricco di segreti… Ci accompagna una voce, sembra di sentire Wendy che ricorda la notte in cui iniziò la sua fuga al fianco di Peter Pan… ci suggerisce che la magica chiave per scoprire mille meraviglie nascoste consiste semplicemente in una piccola dose di attenzione e di curiosità!















(leggi le storie)

 

6) Il Computer "Classico"

Uno scienziato è riuscito ad "accendere" il "computer" inventato dai greci duemila anni fa: la funzione del misterioso meccanismo scoperto nel 1901 da alcuni pescatori nelle acque vicino a Antikythera, un'isolotto sperduto nel Mar Ionio della Grecia, aveva suscitato moltiinterrogativi negli ultimi decenni. Oggi sappiamo che l'apparecchio effettua complicati calcoli astronomici, e mostra le posizioni dei vari corpi celesti. All'inizio sembrava soltanto un blocco di ruggine, e gli archeologi, che non diedero tanta importanza allo strano reperto ritrovato in fondo al mare. Quando però lo strano oggetto si ruppe, nelle stanze degli archivi del Museo di Atene dov'era custodito , vennero alla luce delle ruote dentate, e allora apparve in tutta la sua evidenza un misterioso congegno meccanico simile ad un orologio. Gli scienziati si accorsero di essere di fronte a un oggetto molto particolare: il più vecchio "elaboratore" del mondo. Era evidentemente stato costruito per effettuare complicati calcoli astronomici: dal moto del Sole e della Luna nello Zodiaco a quello dei pianeti, ed anche per determinare le eclissi. Si calcolò che il meccanismo, composto da una trentina di ingranaggi in bronzo con una sottile dentatura, fosse stato costruito 150 anni prima della nascita di Cristo. Gli archeologi parlarono di un capolavoro dell'ingegneria, uno straordinario reperto di tecnologia antica. Poi per un secolo più nulla. Ora, uno studioso ha ricostruito l'antico apparecchio. Una copia esatta: con le stesse dimensioni, gli stessi materiali riciclati. La cosa più sorprendente è che questa copia, funziona, nello stesso modo dell'originale. I comandi sono relativamente semplici: girando una manopola, posta sul lato dell'oggetto, è possibile scorrere i quadranti sovrapposti e, dalla combinazione di questi, prevedere i vari eventi astronomici.Si possono anche raffigurare le posizioni dei vari corpi celesti. Sono presenti iscrizioni del calendario greco ed egizio, e le lancette mostrano le posizioni della Luna e dei cinque pianeti conosciuti dagli antichi Greci. Sul retro, invece, altre indicazioni: un calendario di 19 anni, le date delle Olimpiadi e le previsioni delle eclissi di Luna e del Sole. Negli ultimi decenni il meccanismo di Antikythera ha suscitato molti interrogativi. La sua reale funzione è rimasta sconosciuta per lungo tempo. 


 

1) Città Sommerse del Mediterraneo

(4 x 52', 8 x 26')


“E’ crollato il tempio di Apollo,

sono crollati i bei cortili,

Febo non ha più capanna, né alloro indovino,

né fonte parlante, anche l’acqua profetica è spenta”

(oracolo di Delfi)



Ripercorriamo le antiche rotte del Mediterraneo, per raccogliere le testimonianze di uno straordinario patrimonio archeologico. Esploriamo le coste antistante le antiche città romane e fenicie e licie: tratti di mare che furono intensamente trafficati nell’antichità, che ancora oggi sono stati studiati solo in parte dagli archeologi.

Locations:


               Tiro (Libano)

               Kekova, Kas (Turchia)

               Leptis Magna, Susa, Sabratha  (Libia)

               Kerkenna (Tunisia)

               Valona (Albania)

               Bocche di Cattaro (Montenegro)

               Corinto, Psatura (Grecia)

               Baia, Basiluzzo, S. Cesareo (Italia)

               Alessandria (Egitto)

               Corsica (Francia)

                                                                                                  (leggi il soggetto)

8) Un porto unico al mondo    

Come Ponza, anche Ventotene è la parte emersa di un antico vulcano. Entriamo nell’antico porto romano: si tratta di una colossale opera di scultura. Il bacino profondo 4 metri, le enormi bitte di ormeggio, i portici degli antichi magazzini, utilizzati ancora oggi, furono scavati nella stessa unica montagna di tufo. Le grandi bitte non servivano solo all’ormeggio delle navi, ma permettevano anche di sbarrare l’accesso del porto: la notte, o in caso di aggressione, veniva tesa una grande catena fra le opposte sponde.

La grande vasca destinata alla conservazione del pescato è tagliata nello stesso enorme ammasso di roccia, ancora oggi lambito dalla risacca: la vicinanza al mare rendeva agevole il ricambio dell’acqua nella piscina. Come nelle vasche di Ponza, ritroviamo le fessure dove venivano inserite le grate di sbarramento per il pesce e le saracinesche per regolare il flusso dell’acqua: sono ancora presenti le lastre di piombo cosparse di piccoli fori,  che intercettano le vie d’acqua comunicanti con l’esterno, per impedire la fuga degli avannotti. La piattaforma antistante è modellata in decine di coppe rocciose: servivano a raccogliere l’acqua di mare. Nelle cavità, con l’evaporazione, si depositava il sale: un elemento essenziale del garum, la salsa a base di pesce amata dai romani. Nel I sec a C, Ventotene balza agli onori della cronaca come luogo di esilio per i membri   della  famiglia  imperiale: fu allora che venne costruita Villa Giulia, una residenza incredibilmente lussuosa. La villa occupava gran parte dell’isola, con centinaia di metri quadrati di terrazze pavimentate a mosaico. Oggi la grande villa imperiale è ridotta a un fantasma dell’antico splendore: anche perché la roccia su cui poggiavano le fondazioni fu tagliata e portata in paese per costruire le case. E’ rimasto uno scenario astratto, fatto di forme squadrate e di vuoti. Le isole dell’arcipelago pontino appoggiano sulla stessa dorsale di natura vulcanica che si ricongiunge ai vulcani flegréi, nella zona di Napoli.

 

12) La Piscina di Cleopatra  

(Turchia)

A Roma, solo nelle ville più lussuose sono presenti delle terme private. A Hierapolis, invece, nella Turchia di oggi, le terme sono praticamente in tutte le case, grazie a una vera rete di distribuzione, che conduce le preziose acque minerali. Scriveva Cassiodoro all’Imperatore Atalarico: “Ci sono terme calde, riscaldate non da condotti di laterizio né da fornaci piene di fumo, ma direttamente dalla natura”. Ne è uno splendido esempio la piscina di Cleopatra.  La scienza del tempo aveva celebrato le qualità terapeutiche delle terme, ma i loro benefici venivano attribuiti ad un potere magico di trasformazione. Le sorgenti assumevano un carattere mistico: si credeva che nelle guarigioni ottenute dall’acqua  intervenissero  i favori degli dei:   Apollo,  Ercole,  Esculapio, Igea. Le rovine di oggi furono un tempo portici, architravi, altari, ninfei, palestre e spacci di cibi e di bevande. Intorno alle sorgenti i romani edificarono fontane, bagni e centri di cura.  Le terme, ammantate di marmi preziosi, erano uno dei simboli della loro cultura.
 

13) Il Castello di Cotone

(Turchia)

Ma per quale ragione questa terra esercitò sulle civiltà del passato un’irresistibile attrazione? Sappiamo che nei tempi più remoti furono costruiti dei templi per venerare un fenomeno straordinario. In questa regione dell’Anatolia, infatti, si manifesta una vera meraviglia della natura, che ancora oggi alimenta la fantasia della popolazione locale. Il suo nome moderno, Pamùkkale, significa “castello di cotone”.   L’antico scrittore Smirnéo ci racconta una  leggenda  che  si lega  all’origine di questi luoghi: “il  bel  pastore  Endimione pascolava i suoi animali nelle colline di Hierapolis. L’immagine soave del suo volto giunse molto lontano. Quando si addormentò in mezzo al suo armento, la dea della Luna, Selene, scese vicino a lui. Per la sua grande felicità di stare con la dea Selene, Endimione dimenticò di mungere le sue capre, ed il latte si sparse dappertutto in gran quantità.” Le candide  piscine di Hieràpolis formano dei larghi gradoni che scendono verso valle, formando una successione di vasche a semicerchio ornate da stalattiti.Che siano di latte pietrificato oppure, come vuole un’altra leggenda, balle di cotone messe ad asciugare dai giganti, le terrazze foggiate dalle falde ricche di calcio che scorrono dai fianchi della collina, resero unica la fama della città delle acque. I sedimenti hanno ricoperto di uno strato duro le rovine della città. Spiega Vitruvio:  “A Hierapolis di Frigia esiste una sorgente da cui scorre acqua con la temperatura del corpo umano. Nell’acqua è presente un elemento che al contatto dell’aria e del calore del sole indurisce come il sale marino”. Anche nell’antichità l’uomo era felice quando si sentiva pulito e ordinato! I bagni nei grandi stabilimenti termali sono la principale attrattiva della vita quotidiana, paragonata dagli antichi alle gioie del vino e dell’amore. Per essere veramente in forma non dovevano mancare gli unguenti e la soda - al posto del sapone, che non esisteva. Plinio ci descrive la ricetta di origine persiana di un profumo, che utilizza miele e vino, e altri 25 ingredienti. Da un’apertura della terra, il plutonium, sgorgava un gas portatore di morte, che si spandeva sotto forma di una spessa coltre di nebbia. Il Foro di Plutone, dio delle tenebre e della cattiveria, era consacrato al culto dell’invisibile e alle voci del mistero. Questa zona pericolosa era circondata da una barriera. Solamente gli eunuchi negri dell’Harem potevano accostarsi.   Strabone vi avvicinò alcuni passerotti che morirono immediatamente. I sacerdoti della dea Cibele sfruttavano le esalazioni di gas velenoso mandate dagli spiriti maligni per guarire i malati con l’ipnosi e le preghiere rivolte alle divinità del mondo sotterraneo. Racconta Seneca: “Quante statue, quante colonne che non sostengono nulla e sono state messe lì solo come ornamento. Specchi rotondi, rubinetti d’argento; il marmo alessandrino deve alternarsi al numidico, e al marmo bianco di Thassos!  Ormai chiamiamo topaie le sale da bagno se il sole non entra dalle finestre per tutto il giorno, per abbronzarsi dentro la vasca, e non si gode il panorama della campagna e del mare. Siamo arrivati a tal punto che non vogliamo più camminare se non calpestando gemme e pietre preziose!”
 

14) Il Mare dei Lici

(Turchia)

Ci spostiamo verso l’estremo sud della Turchia: in un tempo molto remoto questa regione si chiamava Licia. Le tombe di pietra che ricordano la forma di una casa ci trasmettono un arcano messaggio dal passato, ultima immagine di un popolo che ha origini antichissime, il cui ricordo sfuma tra storia e leggenda. Il mondo dei Lici conserva ancora gran parte del suo mistero, le loro città sono avvolte dalle nebbie della storia. Molti luoghi possono essere visitati solo dal mare: sui promontori rociosi sono state scoperte decine di tombe. La triste pace della città dei morti è addolcita dalla brezza che viene dal mare. Da dove veniva questo popolo e da quando viveva in questa terra? Sappiamo dall’Iliade che i Lici vivevano nella regione nel secondo millennio a.C. e andarono al soccorso di Troia. L’invasione dei Persiani, nel 546 a.C., segnò la fine della loro civiltà. La resistenza eroica  dei Lici   si concluse  con un tragico episodio: gli abitanti di Xanto si unirono in un suicidio di massa. Le necropoli licie sono arroccate su scogliere che erano luoghi di caccia di cinghiali, cervi, capri. Alcune tombe sono state scolpite direttamente nella roccia; forse gli artigiani della Licia erano veramente i ciclopi? Questo mare fu teatro di intensi traffici marittimi, al crocevia delle antiche rotte commerciali dell’Anatolia verso l’Egitto e Rodi, e soprattutto uno scalo specializzato nei commerci della pietra. Le navi si avvicinavano al piccolo arcipelago che si affaccia davanti alla città di Simène, per prelevare blocchi di pietra e di marmo. Questi scogli furono per secoli isole cava, sculture involontarie modellate dal lavoro dei cavatori. Le scale e le banchine scavate direttamente nella roccia portano ancora i segnidegli antichi scalpelli. Raggiungiamo un isolotto destinato ad una funzione particolare: la conservazione del pesce. Le scale che permettevano l’attracco delle imbarcazioni, e la grande vasca destinata al mantenimento del pescato sono state tagliate nella stessa roccia, ancora oggi semisommersa  dalle onde  della risacca. La vicinanza al livello del mare rendeva agevole il ricambio dell’acqua nella piscina. Questi luoghi sono ricchissimi di storia, sia sopra che sotto la superficie del mare. Distinguiamo con chiarezza le strutture e i ruderi di antiche costruzioni appoggiate sul fondo marino. Come per nascondersi dai suoi nemici, Kèkova, antichissima città dei Lici, è sprofondata lentamente nel mare. Lungo la costa, molte case sono tagliate a metà dal mare, altre sono state completamente sommerse. Le loro strutture sono appena visibili fra i riflessi delle onde: i movimenti dell’acqua sembrano evocare il mondo vivo della città.
 

Nuovi progetti  

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2 - science

3 - archeologia          <<      

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18) Gli scogli dei Romani

(Sardegna)

La “spiaggia rosa” di corallo… quanti anni sono serviti alla natura per crearla? Alcuni scogli non sono stati arrotondati dal vento e dal mare, ma sono ciò che rimane dell’antica cava dove, secondo alcune antiche fonti, furono abbozzate le colonne del Pantheon. Grandi colonne e altri elementi architettonici semilavorati sono ancora in attesa
di un improbabile imbarco su una navis lapidaria. Ecco i segni inconfondibili dell’antico metodo di estrazione: si inserivano cunei di legno in piccole cavità ricavate nella roccia con la mazzetta e il punteruolo, lungo una linea punteggiata che definiva il punto di rottura. I cunei venivano spruzzati d'acqua e ricoperti di stracci bagnati: l'ingrossamento del legno provocava il distacco del blocco di pietra. Nelle insenature più nascoste della Gallura riscopriamo le testimonianze di un'intensa attività di estrazione del granito che risale all'epoca romana. Nell’antichità, la vicinanza al mare era una condizione essenziale per lo sfruttamento delle cave: il viaggio per mare rendeva più facile la spedizione; il trasporto su strada di un semplice fusto di colonna di medie dimensioni avrebbe richiesto l’impiego di numerose coppie di buoi (argomenti correlati: la “tibia” di Capo Testa, i tafoni e le conche di Palau e Castelsardo, le tombe dei giganti).
 

9) Erodoto e la Città Fantasma

(Tunisia)

Due volte l'anno, in coincidenza degli
equinozi di autunno e di primavera, il mare, ritirandosi per l'effetto della marea, svela le strutture di un'antichissima città. Le maree di questa zona del Mediterraneo furono studiate da Erodoto, il quale sosteneva che in caso di bassa marea le isole potevano essere raggiunte a piedi dal continente africano; gli storici moderni non erano d'accordo, ma le ricerche condotte da un'equipe interdisciplinare di archeologhi e geomorfologi hanno dimostrato che il padre della storia aveva ragione
 

Denis Palbiani